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samedi 28 janvier 2012

Tutto spento il piroscafo naviga




Tutto spento il piroscafo naviga, come cosa inerte della natura. Pure, dentro, comincia a destarsi con crepitìo di passi e di voci e fra poco sarà di nuovo un mondo anche lui. C'è gente, dentro, ha sognato, e adesso si agita nelle minute faccende del mattino, per essere pronta a sbarcare prima del sorgere del sole, un po' con una fretta da raggazzi che debbano correre in ore impossibili a scuola.
Sul ponte è freddo, umido, pare sia piovuto. Il cielo in alto, dianzi era scuro ancora, ma un vago chiarore è nato attorno alle cose e già distinguo gli alberi, le lance di salvataggio, la ciminiera... Il cielo diventa sempre più lieve nel suo azzurro di foglia. Un lume s'è acceso un istante dietro a un vetro del ponte di comando, quindi s'è spento e un volto incerto e assonnato d'uomo ora guarda nell'alba di lassù.
A destra e a sinistra poi si spalanca una terra, a picco. Da una parte è capo Figari con una minuscola luce gialla in cima : un faro ; ma piuttosto si pensa a un uomo che agiti una lanterna da ferroviere verso di noi, e sia accorso all'ultimo momento. Dall'altra parte è Tavolara, un'isola che dicono deserta, e proprietà d'un tale che ci va per la caccia. Tavolara ; forse viene da tavola ; e veramente è un enorme blocco calcinoso che in questo chiarore violetto di zolfo pare si accasci e debba sprofondare nell'acque, bruciata dentro. E che sia un'isola non si vede. Cupe masse alle spalle la riprendono. E al moto del piroscafo, tra tanti blocchi azzurri o biancastri che ci girano attorno si ha quasi il senso d'essere entrati in un mare d'altipiano e di navigare in ascesa : verso l'estremo tetto dell'universo.
Ma al di sopra delle rupi l'aria è candida. Si apre un circolo d'acque serene e una terra rosea, bassa, appare in giro. Di nuovo fischia la sirena del piroscafo. C'è movimento di marinai sul ponte. A prua tutti i viaggiatori di seconda e prima classe mandano fuori, coi facchini di bordo, le valigie.

Elio Vittorini Sardegna come un'infanzia, ed. Bompiani





Tous feux éteints, le paquebot navigue, de l'inertie des choses naturelles. Pourtant, à l'intérieur, il commence à se réveiller dans un crépitement de pas et de voix, et bientôt, il sera de nouveau tout un monde, lui aussi. Il y a des gens, à l'intérieur ; ils ont rêvé, et maintenant ils vaquent à leurs menues occupations matinales, pour être prêts à débarquer avant le lever du soleil ; ils ressemblent un peu à des enfants contraints de se lever tôt pour aller à l'école.

Sur le pont, il fait froid, humide, on dirait qu'il a plu. Tout à l'heure encore, le ciel était sombre, mais déjà une pâle clarté s'est répandue autour des choses, et je distingue les mâts, les canots de sauvetage et la haute cheminée... Le ciel devient toujours plus léger dans son azur de feuille. Une lumière a brillé un instant derrière une vitre du poste de commandement, puis elle s'est éteinte et un visage d'homme hésitant et ensommeillé regarde maintenant dans la direction de l'aube qui se lève.

Puis à droite et à gauche s'ouvre une terre, à pic. D'un côté, c'est le cap Figari, avec une minuscule lumière jaune tout au bout ; c'est un phare, mais on pense plutôt à un homme accouru au tout dernier moment, qui, tel un chef de gare, agite une lanterne dans notre direction. De l'autre côté, c'est Tavolara, une île que l'on dit déserte, propriété de quelqu'un qui n'y va que pour chasser. Tavolara, le nom vient sans doute de "table", et elle ressemble vraiment à un énorme bloc calcifié, qui dans cette clarté violette de soufre semble s'effondrer pour s'engloutir dans les eaux, comme s'il était consumé de l'intérieur par un brasier. Et on ne dirait même pas une île. Derrière elle, des masses sombres la prolongent. Dans le sillage du paquebot, au milieu de tous ces blocs bleus et blanchâtres qui nous entourent, on a presque l’impression d'être rentrés dans une mer de haut plateau et de naviguer en ascension : vers le toit du monde.

Mais au-dessus des rochers l'air est limpide. Un cercle d'eaux calmes s'ouvre, et une terre rosée apparaît. De nouveau, la sirène du paquebot retentit. Des marins s'affairent sur le pont. À l'avant, tous les passagers de première et de seconde classe font sortir leurs valises par le personnel de bord.

(Traduction personnelle)






Images, en haut : Site Flickr

au centre,  Umberto Fistarol (Site Flickr)

en bas, Antonella Fava (Site Flickr)



dimanche 1 novembre 2009

Infine, scendiamo verso il mare



Infine, scendiamo verso il mare.

In Sardegna si sente sempre, a cento e cento chilometri dalle coste, che splende nell'aria da ogni lato. È una vera isola, Sardegna, dentro il suo splendore e le sue tempeste. E di qualcosa di salmastro odora anche su a mille metri. Ma qui in special modo.

La terra è saccheggiata dal maestrale. Che non soffia, intanto. Lunghe terre oscure appaiono sospese nell'aria, dove la pianura scoscende. Là è il mare ; quell'aria. Disabitato come la luce del Primo Giorno. Ma gli alberi sono piegati dal maestrale e hanno il fogliame arrovesciato, come chiome da pettinare. Anche i cespugli. Tutta la pianura arrovesciata. Si direbbe che il vento s'è arrestato ora di colpo. E le case di Castelsardo, sul pollaio della rocca, al sole, sono accovacciate anch'esse per la trascorsa furia.

La macchina piglia la rincorsa verso lassù.

Poi ci si trova in una specie di cortile ch'è la piazza del paese. Mura di bastioni, intorno, in cima ai quali passeggia una sentinella. C'è un fico in un angolo, e sotto al fico sgocciola una fontana.

Calma gente è in fila, lungo un parapetto, e parte guarda dentro il mare, parte a cavalcioni del muro ci osserva, non per qualche curiosità, ma perché, oltre i ciottoli del selciato, e il fico, e la fontana, ci siamo anche noi, oramai, nella piazza. Se ci fermassimo, a pranzo, o a passare la notte, diverremmo oggetto d'ospitalità. Così invece, scesi appena a dare uno sguardo e ripartire, non ci degnano d'una parola. Troppo giusto.

Ma su per le gradinate dei vicoli, ci sono donne che cantano, dondolando il capo, e, appena passiamo, balzano in piedi e fuggono verso le case, con risa sommesse come di scolarette sorprese fuori dai posti a far baccano. In mano hanno certi gingilli a cui lavorano ; cestini, fatti di foglie di palmizio, a disegni di nero sul bianco, e con essi, per ridere più libere, si coprono il volto.

Elio Vittorini Sardegna come un'infanzia, ed. Bompiani

Donne sarde :

Signora di Sadali

Tzia Raffiella Monni ("Il più ricco che c'era ai miei tempi è come la persona più povera che c'è oggi. Vedi com'è strana la vita ! Mah !?")

Source de l'image : Site Flickr.

mardi 21 avril 2009

Notti (Nuits)




La casa era sull'orlo della china di tetti verso il vallone. Salii la scaletta esterna, fui sul pianerottolo. Sapevo che mi sarebbe piaciuto non aver da entrare, non aver da cercare cibo e letto, essere piuttosto in treno, e mi fermai.
Il freddo era intenso, e in basso c'erano lumi, in alto pure, a piccoli gruppi sparsi di quattro o cinque ; e l'aria era azzurra. Nel cielo scintillava il ghiaccio di una grande stella abbandonata.
Era notte, sulla Sicilia e la calma terra : l'offeso mondo era coperto di oscurità, gli uomini avevano lumi accanto chiusi con loro nelle stanze, e i morti, tutti gli uccisi, si erano alzati a sedere nelle tombe, meditavano. Io pensai, e la grande notte fu in me notte su notte. Quei lumi in basso, in alto, e quel freddo nell'oscurità, quel ghiaccio di stella nel cielo, non erano una notte sola, erano infinite ; e io pensai alle notti di mio nonno, le notti di mio padre, e le notti di Noè, le notti dell'uomo, ignudo nel vino e inerme, umiliato, meno uomo d'un fanciullo o d'un morto.

Elio Vittorini Conversazione in Sicilia, ed. Rizzoli.

La maison était au bord de la pente de toits qui allait vers le vallon. Je montai le petit escalier extérieur, parvins au palier. Je savais qu'il m'eût plu de ne pas avoir à entrer, de ne pas avoir à chercher nourriture et lit, d'être plutôt dans le train, et je m'arrêtai.
Le froid était intense et, en bas, il y avait des lumières, en haut aussi, par petits groupes épars de quatre ou cinq ; et l'air était bleu. Dans le ciel scintillait la glace d'une grande étoile abandonnée.
Il faisait nuit, sur la Sicile et sur la calme terre : l'obscurité recouvrait le monde offensé, les hommes avaient des lumières près d'eux, des lumières enfermées avec eux dans leurs chambres, et les morts, tous les tués, s'étaient assis dans leurs tombes, et ils méditaient. Je pensai, et, en moi la grande nuit fut de la nuit sur de la nuit. Ces lumières en bas, en haut, et ce froid dans l'obscurité, cette glace d'étoile dans le ciel, n'étaient pas une seule nuit, c'étaient d'innombrables nuits ; et je pensai aux nuits de mon grand-père, aux nuits de mon père, et aux nuits de Noé, aux nuits de l'homme nu dans le vin et désarmé, humilié, moins homme qu'un enfant ou qu'un mort.

Traduction : Michel Arnaud, ed. Gallimard.

Sicilia ! Straub-Huillet (L'arrotino).

Sicilia ! Straub-Huillet (La madre).


Image : L'Ancêtre, de Jean-Paul Marcheschi. Photo : Renaud Camus (Site Flickr)