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lundi 27 février 2012

Dopo (Après)




« Ma in tanta noia ed uggia dell'oscura provincia 
resta pure una cincia che informa : "È stato a Bruggia..." » 

M.M. Appunti per autoritratto





Io non so che avverrà di questa casa,
s'ella sarà venduta,
s'ella sarà abbattuta,
se diverrà perfino un'altra casa.

Altre porte e finestre, altra cimasa,
altre rondini ed altri davanzali,
altri riposi d'ali.
Altro capo, altre serve, altre famiglie
come altre cose a me care o discare.
Altri libri, altro cibo, altre stoviglie,
altri letti, altre bare.

Che cosa dunque rimarrà di mio
per caso, in queste stanze, o per dispetto ?
Chi sa, forse un panchetto,
un panchetto di quando ero bambino
o un'eco incomprensibile, un fruscio...

Altro mendico va di casa in casa,
di scalino in scalino,
ed altra madre chiama altro Marino
che in altra ora rincasa.

Marino Moretti  Congedo






Je ne sais pas ce qu'il adviendra de cette maison,
si elle sera vendue,
si elle sera abattue,
si  elle deviendra même une autre maison.

D'autres portes et d'autres fenêtres, une autre cimaise,
d'autres hirondelles et d'autres rebords
pour y reposer leurs ailes.
Un autre maître, d'autres servantes, d'autres familles
et d'autres choses pour moi chères ou désagréables.
D'autres livres, d'autres mets, une autre vaisselle,
d'autres lits, d'autres cercueils.

Que restera-t-il donc de ce qui fut à moi
dans ces pièces, par hasard ou par jeu ?
Qui sait, peut-être un petit banc,
un petit banc du temps où j'étais enfant
ou un écho incompréhensible, un bruissement... 

Un autre mendiant va de maison en maison,
de marche en marche,
et une autre mère appelle un autre Marino
qui rentre à la maison à une autre heure.

Marino Moretti  Adieu (Traduction personnelle)








Images : en haut, Site Flickr

au centre et en bas, Massimiliano Calamelli  (Site Flickr)

samedi 25 février 2012

Mai più incontrato (Jamais revu)




Renaud Camus nous dit dans son Journal de l'année 2007, Une chance pour le temps, qu’il a finalement accepté, «non sans hésitation, une traduction partielle de Tricks en italien» (cf. page 15). Cette traduction était annoncée en 2008 aux éditions Textus (situées à L’Aquila), mais la parution de l’ouvrage a été sans cesse reportée depuis, et elle semblait même définitivement compromise à la suite du tremblement de terre qui a touché en avril 2009 le chef-lieu des Abruzzes. Fort heureusement, la petite maison d'éditions Textus a pu récemment reprendre ses activités, et l'on annonce enfin pour le 7 mars prochain la parution de cette édition italienne de Tricks. Elle parait dans une collection intitulée I Romanzi della realtà (Les Romans du réel), dirigée par l'excellent Walter Siti, romancier de grand talent (Scuola di nudo, Troppi paradisi, et tout récemment Autopsia dell'ossessione, chez Mondadori) et maître d’œuvre de l'édition des textes de Pasolini dans les Meridiani. Il s'agit en effet d'une édition partielle du livre le plus célèbre de Renaud Camus, puisqu'elle ne comprend que vingt-cinq des quarante-cinq tricks de l'édition française définitive (P.OL, 1988).

On a toutefois déjà pu lire en italien deux chapitres de Tricks, puisqu’ils ont été publiés dans l’ouvrage de Renzo Paris, Cronache francesi, paru aux éditions Transeuropa en 1989. Le sous-titre du livre est «un panorama della nuova narrativa francese» (un aperçu de la nouvelle fiction française) ; le choix des textes et des auteurs est fort éclectique, puisque l’on y retrouve notamment Tony Duvert, Annie Ernaux, Mathieu Lindon, François Bon, Danièle Sallenave, Jean Echenoz, Le Clezio, Hervé Guibert, Guy Hocquenghem, et donc Renaud Camus, «parmi tous ces auteurs, sans doute le plus scandaleux» nous dit Renzo Paris dans sa préface... Les deux tricks retenus ici (tous les deux new-yorkais) sont le trente-cinquième, Anonyme en salopette (pages 355-360 dans l’édition P.O.L de 1988) et le trente-septième, Le cow-boy (pages 373-380, op. cit.). La traduction est de Dario Bellezza (en collaboration avec Mario Sigfrido Metalli), par ailleurs écrivain et poète de valeur, mort du sida en 1993. Un de ses romans a été traduit en français : L’amour heureux, Salvy, 1998. Puisque cette édition des Cronache francesi est désormais introuvable, l'ouvrage étant depuis longtemps épuisé, je reproduis ici l'intégralité des deux chapitres de Tricks dans cette première (et plutôt bonne) traduction italienne :


Anonimo con la salopette (a Severo Sarduy)


Lunedì 24 luglio 1978
(Racconto trascritto a Parigi, giovedì 11 marzo 1982).

M’aggiravo, verso la fine del pomeriggio, nello stretto corridoio su cui s’aprono le cabine di proiezione, nel settore più lontano della “libreria” che sta all’angolo tra Christopher e Hudson Streets. Fuori faceva ancora caldo, e così non c’era molta gente in questo retrobottega scuro, praticamente senza aerazione. Un uomo sui trenta-trentacinque anni, abbastanza piccolo, bruno, baffuto, mi stava scrutando. Portava dei grandi occhiali con la montatura di tartaruga e, per vestito, una salopette azzurro-mare che gli lasciava nudi i fianchi, la parte superiore del torace, le spalle e le braccia. Non si poteva dire se fosse bello o brutto, ma certo era un po’ comico per il contrasto tra i suoi occhiali da intelletuale e la sua tenuta da stagnaio, e per i baffoni alla Ben Turpin. Mi seguiva lungo il corridoio, che porta sempre al punto di partenza, oppure aspettava il mio successivo passaggio e allora mi guardava fisso.

Sono andato ad appostarmi in una rientranza particolarmente buia tra due cabine. Lui m’ha subito raggiunto e immediatamente m’ha messo la mano sulla patta. Stavo a torso nudo, la mia camicia sgualcita infilata dalla parte del colletto nella tasca posteriore dei jeans [secondo un vezzo della moda molto diffuso quell’anno]. Ho fatto qualche passo indietro, per appoggiarmi al muro, lui m’è venuto incontro. [Interruzione : siccome, a causa del caldo, sto scivendo con indosso solamente uno short molto largo da cui fa capolino per l'occasione il mio sesso, mi sono messo a masturbarmi, Dio sa perché, visto che l'episodio non ha niente di particolarmente eccitante. Ho approfitato dell'occasione per assaggiare un flaconcino di poppers Rush, che appartiene a F.H. e stava sul comodino. Il suo effetto è stato vigoroso, fino a sconvolgere ancora adesso la mia scrittura (in effetti particolarmente agitata), e prima, fino a portarmi alla soglia d'un orgasmo al quale mi sono sottratto, fortunatamente, proprio nel momento in cui due goccioline annunciatrici e lubrificanti erano apparse sulla punta del mio sesso]. Ho passato la mia mano sul suo petto, solido e molto peloso, e sul suo ventre, molto peloso ma meno solido. Potevo anche, avendo slacciato due bottoni sui suoi fianchi, toccare direttamente il suo culo, le coscie e il sesso. Ma appena arrivato a quel punto, lui m’ha proposto d’andare in una cabina. Ho accettato. La prima che aveva scelto aveva la porta che non funzionava e ne ho preferita un’altra, proprio di fronte. Ci sono entrato e lui m’è venuto dietro. Ho sbottonato la mia patta. Lui m’ha accarezzato il torace e m’ha tirato fuori il sesso. Gli ho tirato giù le bretelle della salopette scoprendogli così tutto il torace. Ma allora lui ha introdotto una moneta nella fessura dell’apparecchio di proiezione. Non so se lo ha fatto per una sorte di dovere, temendo che i gestori della “libreria” ci richiamassero all’obbligo un po’ duramente (“C’mon, I want to hear those quarters !”, però io avevo l’impressione che avessero rinunciato a quel tipo di politica, e che il dollaro che esigevano all’ingresso del retrobottega fosse ormai la loro sola pretesa), o forse perché aveva voglia di vedere un film. Comunque sia, siccome io stavo appoggiato contro la parete su cui veniva proiettato il film, le prime immagini sono arrivate sul mio torace. Abbiamo allora cambiato posizione e ci siamo messi uno di fronte all’altro, stavolta per il largo della cabina, così stretta d’altronde che potevamo appoggiarci confortevolmente tutti e due, di spalle, a una parete, e tenere i nostri bacini e i nostri cazzi stretti l’uno contro l’altro. Il film veniva così proiettato tra i nostri petti, il centro dell’immagine solamente arrivava sul tramezzo, mentre i bordi si perdevano sui nostri corpi.

Ci siamo abbracciati e stretti l'uno contro l'altro, più forte che potevamo, spostandosi leggermente, in senso contrario, da sinistra a destra, per meglio sentire i peli dei nostri toraci mescolati e premuti. Poi l'uomo con la salopette s'è inginocchiato e s'è messo a succhiarmi il cazzo. Nel film, che aveva per titolo due nomi che ho scordato, Tom e Terry o qualcosa di simile, si vedevano due mastodonti dalle muscolature da Cappella Sistina, quasi nudi ma non particolarmente eccitanti per me, sperduti separatamente in una specie di deserto, che si scoprivano da lontano e si avvicinavano attraverso le dune. Uno stava già masturbandosi quando l'altro lo raggiunge e gli si inginocchia davanti per succhiarglielo. Le immagini sono abbastanza banali, gli attori insignificanti malgrado l'ordine colossale delle loro architetture, e il tutto comunque non sarebbe stato sufficiente a eccitarmi. Ma la similitudine delle situazioni portava con sé una qual certa identificazione, e come il giovane lassù, sullo schermo, aveva un'aria beata per la fellatio praticata su di lui, io non potevo che essere altrettanto contento di quella di cui ero il beneficiario e che era altrettanto ben fatta. A un punto tale, che fui quasi sull'orlo dell'orgasmo e dovetti, per evitarlo, sollevare l'uomo con la salopette. Non più che la sera prima, in effetti, avevo intenzione di godere, e avevo fatto la mia visita alla "libreria" solo for old times sake, per ricordo dei vecchi tempi. Ho stretto di nuovo il mio compagno tra le braccia, gli ho leccato il petto, lui ha leccato il mio. Ma tutto questo lo interessava abbastanza poco, quello che voleva era succhiarmi il cazzo, così non ha tardato a riprendre la sua posizione accoccolata.

È successo allora qualcosa di strano che non ho capito. Il proiettore era situato sul fondo della cabina, dietro uno schermo di vetro. Un giovane nero, che non avevo mai visto prima ma che certamente lavorava lì, s'è messo a spostare da dietro il proiettore, non so assolutamente perché, come se volesse trovare un miglior campo di proiezione del film sul tramezzo. Man mano che faceva muovere la macchina, le immagini si spostavano in tutte le direzioni, verso l'alto, verso destra, sul mio torace, verso il basso, sul mio sesso e sul viso dell'uomo con la salopette. Non sapevo che fare, né se bisognava essere imbarazzati per questo tecnico che sembrava non esserlo affatto da noi, poiché avrebbe potuto fare i suoi aggiustamenti quando non c'era nessuno nella cabina. Attraverso il vetro lui poteva certamente vedere ciò che voleva, soprattutto nel fascio di luce del film, per esempio il mio sesso, in piena erezione, nella bocca del mio partner, il cui viso intero serviva da supporto allo sviluppo della trama e ai personaggi, per così dire, e più spesso al gigante in piedi in procinto di farsi succhiare il cazzo. L'uomo con la salopette, perplesso, s'era interrotto per un istante, di cui io ho approfittato per masturbarmi, ma molto prudentemente perché ero sempre deciso a non godere.

Ogni volta che il film si interrompeva, all'incirca ogni tre minuti, l'uomo con la salopette introduceva nella fessura dell'apparecchio una nuova moneta. Conseguenza delle manipolazioni del giovane nero, abbiamo avuto diritto a una bobina tratta da un film diverso, assai migliore. Dopo di che l'uomo ha ripreso il suo lavoro un po' monotono. Il nero continuava a fare i suoi esercizi. L'idea mi viene adesso scrivendo, può darsi che costui non lavorasse affatto alla "libreria", che fosse soltanto un cliente guardone, e che fosse deliberato il suo dirigere il fascio della proiezione sul mio cazzo e sulla bocca dell'uomo con la salopette, che aveva deciso, dopo una riflessione, di riprendere ciò che aveva cominciato. L'immagine riflessa sui miei fianchi e sulle guance non era molto chiara, evidentemente, ma ci si distinguevano ancora molto distintamente le sagome e le situazioni interpretate, o piuttosto vissute, perché l'uomo che si faceva succhiare era arrapato molto veritieramente, allo stesso modo che molto veritieramente poi se ne veniva.

Ho detto che non avevo nessuna intenzione di godere. Ma ciò che ha indebolito la mia decizione è stato il pensiero di questa cronaca, e del racconto che potevo trarre da un episodio così enfaticamente, così grossolanamente, “artistico” : “fellatio in corso mentre un’altra viene proiettata sui partecipanti della prima, tatuaggio mobile ; è la pornografia che i nuovi saddhus dell’Hudson imprimono sui loro corpi, al posto dei Veda cari ai loro fratelli del Gange [dei quali, in approssimativo contraccambio, Severo Sarduy scrive in La Doublure (Flammarion, 1981, p. 78) che con i loro finissimi pennelli, la loro cipria nera, e i loro “vanity-case che maneggiano con abilità” : “– Li avevo scambiati per delle frocie –.”]. Come mi sono venute queste idee, fui perduto, tanto più irremediabilmente in quanto l’uomo con la salopette era un succhiatore assai esperto. Ho sentito montare dentro di me una tensione che non poteva risolversi se non in un orgasmo, e ho goduto nella sua bocca, con molto piacere. Lui ha inghiottito il mio sperma. Quando si è risollevato, s'è messo a masturbarmi. Io lo tenevo per le spalle mentre lui protendeva il bacino, e gli carezzavo le cosce, i coglioni e anche il torace. È venuto abbastanza in fretta, e il suo sperma è andato a schizzare sulla parete dove la sua ombra nascondeva una metà del film, di nuovo proiettato nel suo posto specifico.

Ero impaziente di uscire dalla cabina, in parte a causa del calore che il nostro dimenarci aveva aggiunto a quello del giorno, in parte per l’inquietudine sulla sorte della mia camicia che avevo abbandonato prima d’entrare nella cabina, con il mio libro, Les Confessions, precisamente dalla parte dove il singolare manipolatore aveva dato luogo ai suoi capricciosi interventi. Sono dunque uscito prima che l’uomo con la salopette si fosse risollevato le bretelle, con un sorriso d’arrivederci che lui a malapena poteva vedere. Comunque lui aveva dovuto lasciare prima di me la “libreria”, perché l’ho visto, più tardi, precedermi su Christopher Street, che andava verso est sul marciapiedi opposto.

(Mai più incontrato).






Il cow-boy


Giovedì 27 luglio 1978

Dovevano essere le cinque e mezza. Stavo ritornando dal Pier 42, sull'Hudson, dove avevo trascorso il pomeriggio a rileggere Les Confessions, al sole. Se sono entrato nella "libreria", all'angolo di Christopher Street e Hudson Street, è stato soltanto perché un ragazzo che vagamente m'interessava, e che mi camminava davanti, c'era stato prima di me. Ho sfogliato qualche rivista, anche io, e poi è uscito di nuovo.

M'apprestavo a fare la stessa cosa, piuttosto che penetrare, al prezzo d'un dollaro, al di là del girello di metallo a forma di croce, simile a quello del metrò, che dà accesso alla seconda parte dell'impianto, quella dove uno stretto e buio corridoio – che si morde la coda – apre le sue porte a delle minuscole cabine di proiezione.

Ma proprio mentre stavo rimettendo al loro posto Luscious dessert o Chicken Lickin' good, m'è sembrato di sentire uno sguardo posato su di me. Ho girato la testa. Al di là del tornante di metallo, c'era un ragazzo dal viso molto pallido, con dei baffetti neri, abbastanza fine, una camicia rossa a quadri e un cappello da cow-boy, dalle larghe falde rovesciate all'insù. Stava fermo, ma come lo scorsi, smise subito di guardare dalla mia parte, o verso la porta, e si spostò sparendo di colpo dalla mia vista.

L'avevo guardato soltanto per qualche secondo. M'era sembrato talmente bello, bello anche se non m'era sembrato che si interessasse a me. Certamente era la prima stanza, quella dei libri e delle riviste, e la porta, che lui guardava, per vedere se qualche nuovo venuto si presentava al di là del girello ruotante di metallo. E se era rimasto fermo presso quest'aggeggio doveva essere perché non c'era nessuno di interessante nella seconda stanza. Dunque non decisi subito di andare a raggiungerlo. Ma neanche lasciai la "libreria" così velocemente come avevo intenzione di fare. Mi misi distrattamente a sfogliare un altro volume, e a girare la testa verso il tornante di metallo, alla fine di ogni paragrafo. Tre o quattro minuti più tardi, il cow-boy fu di ritorno e questa volta senza alcuna ombra di dubbio stava guardando me.

Di tutti i Tricks di cui si racconta qui, incontestabilmente il più bello è questo ; e anche, a eccezione di Jeremy, senza dubbio, forse il solo veramente bello, secondo ogni criterio di giudizio, l’unico a trascendere i “generi”. Il ragazzo era molto alto e muscoloso, ma in modo naturale, senza eccesso ; d’aspetto molto virile, senza ostentazione. Il suo abito da cow-boy, che aveva tutte le probabilità di questo mondo d’apparire perfettamente ridicolo, su di lui era soltanto molto eccitante e, senza che possa bene spiegare perché, patetico. Incarnava perfettamente il mito, e nondimeno non aveva il fisico tradizionale del ruolo : i suoi cappelli, di cui una ciocca sfuggiva dal cappello, sulla fronte bianca, le sue sopracciglia, i suoi occhi, i suoi baffi erano troppo neri ; aveva piuttosto l’aria latina, o meglio, gitana. Quello che era veramente notevole in lui, era il suo volto, a mio avviso perfetto : energico, fine, luminoso, rischiarato dalla torva scintilla delle pupille. Questa volta m’ha lasciato il tempo di vederlo meglio. Ma, come aveva fatto in precedenza, s’è allontanato dal girello di metallo per sparire tra le cabine. Il suo sguardo, nel momento in cui si spostava, era su di me. Ciò sembrava un chiaro invito. Quasi non riuscivo a credere alla mia fortuna. Ma ero deciso adesso a tentarla. Ho dunque dato il mio dollaro all’incaricato che ha sbloccato il tornante di metallo, liberando il meccanismo di passaggio.

Il corridoio che fa da comunicazione alle cabine disegna un quadrato su cui, servandosene, ci si ritrova sempre al punto di partenza. Non ho seguito il cow-boy. Mi sono avviato nella direzione opposta alla sua, pensando così d’incontrarlo. Ma lui era tornato sui propri passi, io ho fatto un giro completo senza incrociarlo. C’erano là dieci o quindici ragazzi, alcuni dei quali avevo già visto prima lungo l’Hudson, di cui due o tre eccitanti. Mi sembrava più saggio interessarmi a loro piuttosto che a questo cow-boy, che decisamente m’intimidiva. Era troppo bello. Ma sapevo anche bene, che troppo lo avrei rimpianto, in seguito, se non fossi arrivato in fondo a questa storia.

Quando l’ho rivisto, stava entrando in una cabina. Ha lasciato la porta completamente aperta, e s’è appoggiato contro la parete di fronte, i pollici nelle tasche dei jeans. Mi guardava. Io ho ancora tergiversato. Mi sono allontanato. Quando mi sono girato, lui stava sulla porta. Controllavo che l’avessi visto, che sapessi bene dove lui stava, si è rimesso nella sua posizione, all’interno della cabina, contro la parete. Ho fatto un giro completo del corridoio, ma molto svelto, e mi sono fermato di fronte a lui. Ci siamo guardati, io ho ancora girato la testa una o due volte a destra e a sinistra, poi mi sono deciso, e l’ho raggiunto.

Temevo che lui fosse il tipo da ricevere, senza minimamente contraccambiare, gli omaggi che istigava. E avevo anche paura d’essere intimidito sessualmente, di non potermi neanche arrapare, se avesse messo la mano sulla mia patta sarebbe stato deluso dalla modesta taglia del mio membro in completo riposo. Ma queste inquietudini non hanno avuto nessuna conferma. Lui m’ha toccato nello stesso istante che l’ho toccato io, era tanto perfettamente eccitante quanto era bello, rara combinazione, e io gli ero accanto da neppure quindici secondi che già ero arrapato con estremo entusiasmo.

I suoi jeans erano vecchi e consunti. Sul lato interno della coscia destra, verso l'alto, c'era un buco dai bordi sfrangiati. Non portava slip. Quando ho messo all'inizio la mano sulla patta, l'estremità del suo membro era assai lontana da quel foro, cinque o sei centimetri. Ma man mano che si eccitava, lo sentivo avvicinarsi, e ben presto il suo glande fece capolino. Questa apparizione m'eccitò molto. Ho fatto scorrere la porta dietro di me, ma non completamente, perché un po' di luce continuasse a filtrare. Raramente avevo desiderato di vedere bene uno dei miei amanti. Mi sono accoccolato di fronte a lui e ho passato la lingua sul suo glande, attraverso il famoso foro. Con la mano destra, ho cominciato a slacciargli la cintura e la patta. Lui m'ha aiutato. Mi sono tirato su. Lui m'ha aperto i pantaloni e m'ha tirato fuori il membro. Gli ho sbottonato la camicia, le cui maniche portava arrotolate fino ai bicipiti, molto sviluppati. Dei peli bruni gli ricoprivano il petto, limitati molto nettamente dalla forma dei pettorali, a eccezione d'una sottile linea nel mezzo del ventre, che giungeva fino al sesso, che sarebbe stata perfettamente dritta, se non fosse stato per le cavità e le sporgenze dei suoi muscoli addominali. Nulla era troppo in risalto, ma tutto perfettamente duro, perfettamente ben disegnato. Il suo membro, che adesso stringevo, era più grosso del mio, lungo, carnoso, molto ben circonciso, sarei tentato di descriverlo come notevolmente elegante. I suoi coglioni erano molto voluminosi. Le sue cosce, lunghe e possenti, ma non ampie, si congiungevano molto in alto al bacino, di modo che il loro risalto era già evidente all'altezza del sesso ; tutte le volte che cambiava l'appoggio principale, ci si vedeva scattare ogni muscolo ben distinto.

Era un po' più alto di me. Ci siamo guardati sorridendo. Poi ha dato con un colpo della mano, in un gesto convenzionale, un lieve tocco al cappello, per gettarlo un po' all'indietro. Un altro ciuffo di capelli neri, un po' ondulati, gli è caduto sulla fronte. Gli tenevo le mani sui fianchi. M'ha stretto contro di lui. Ho slacciato la mia camicia, allargandone i lembi perché i nostri toraci fossero direttamente a contatto l'uno contro l'altro. Ci siamo baciati. Le sue gambe erano leggermente divaricate, le mie tra le sue. I nostri membri completamente eretti si premevano formando una X ; noi li facevamo oscillare quasi insensibilmente da sinistra a destra, il canale seminale compresso per un istante e poi liberato, e compresso di nuovo.

Ho passato le mani tra la parete di compensato e le natiche del cow-boy. Esse erano, come il resto del suo corpo, molto dure e assai prominenti, con una fossetta su ciascuna parte. Erano anche molto pelose, ma non eccessivamente, salvo che nella fessura.

Mi sono di nuovo accoccolato per succhiargli il cazzo, mentre gli carezzavo il ventre e il petto. Le mani tra i miei capelli, le spalle contro la parete, lui protendeva il bacino.

Sul fondo della cabina, alla mia sinistra, c'era un sedile molto basso destinato agli spettatori del film che noi avevamo trascurato di mettere in azione. Mi ci sono seduto, attirando verso di me il cow-boy col suo cappello sempre inclinato verso la nuca. I suoi jeans erano adesso appena sopra le ginocchia. Con la mano destra gli carezzavo le natiche, il mio avambraccio contro la sua coscia sinistra, e con la sinistra gli stringevo la verga alla base oppure giocherellavo con i suoi coglioni. Siamo restati in questa posizione quattro o cinque minuti. Ogni volta che sentivo che stava per venire, rallentavo il va-et-vient della mia bocca, e passavo le mie labbra sui coglioni o la lingua sotto.

Come mi sono sollevato, il cow-boy m'ha fatto cambiare di posto con il suo, cosa che non era molto facile in questa cabina che era certamente larga meno d'un metro. Si è seduto e m'ha preso il cazzo in bocca. Ma ancora una volta non volevo venire. Tony e io avevamo tutto un programma di convegni per la serata, Anvil, Saint-Mark sauna, eccetera, e volevo conservarmi le energie. Quello che mi sarebbe piaciuto, evidentemente, sarebbe stato di portarmi il cow-boy a casa. Ma sempre intimidito da lui, e dal mio desiderio di lui, non ho osato proporglielo.

Quando sono stato sul punto d'eiaculare, mi sono chinato in avanti. Gli ho sollevato la testa, l'ho baciato, e l'ho forzato ad alzarsi. S'è di nuovo appoggiato alla parete, di fronte alla porta. Quanto a lui era ben deciso a venire. Si masturbava. L'ho fatto io per lui, con la mano destra, l'avambraccio sinistro sulla sua spalla, baciandolo. Lui protendeva i fianchi piegando un po' le gambe. Al momento di venire, ha girato la testa sospirando, m'ha fatto togliere la mano dal suo membro e l'ha posata sul suo seno destro, le mie dita sul minuscolo anello di metallo che era infilato nel suo capezzolo, che avevo dimenticato di segnalare. Ha finito da solo di masturbarsi, e il suo sperma è andato a sbattere contro la porta, in molteplici getti sorprendentemente distanziati. Ho raccolto nella mia bocca le ultime gocce.

Subito dopo lui avrebbe voluto che anche io potessi venire, molto gentilmente. Ma io ho cominciato a rivestirmi, sorridendo. Non ha insistito, senza fare domande. Aveva nei suoi jeans un fazzoletto col quale s'è asciugato il membro. S'è rapidamente ricomposto. L'ho lasciato uscire per primo. M'ha dato, sorridendo, un leggero pugno sul braccio : Take care! 

Sono uscito dalla cabina quasi immediatamente dopo di lui, abbastanza veloce per vederlo entrare nelle toilette che sono proprio di fronte al tornante di metallo d’accesso al piccolo corridoio. Mi sono appostato lì, nella luce che viene dalla bottega propriamente detta. Volevo vederlo ancora una volta, assicurarmi che fosse così bello come m’era sembrato. Lo era, forse anche di più. Quando è uscito dalla toilette, m’ha fatto un segno con la testa poi, arrivato vicino alla porta, s’è girato sorridendo, facendo un saluto con la mano.

Sono rimasto ancora cinque minuti nella “libreria”, per non avere l’aria di seguirlo e d’imporre la mia presenza. Quando a mia volta sono uscito, mi sono diretto verso la Sesta Avenue su Christopher Street. Mano a mano che andavo riprendendo coscienza, mi rimproveravo la timidezza. Avrei potuto dargli il mio indirizzo, il mio numero di telefono, invitarlo a pranzo a casa. Era uno dei più bei ragazzi che avessi visto in vita mia. Sembrava molto gentile. E adesso l’avevo perduto.

Arrivato sulla Settima Avenue, sono tornato sui miei passi. Bisognava che lo ritrovassi, era una cosa sciocca. Fortunatamente con quel suo cappello, era riconoscibile da lontano. Doveva gironzolare nel quartiere. Sono entrato in parecchi bar, Boots and saddles, Ty’s, e sono tornato su Hudson Street. Sulla strada ho incontrato un amico francese, Patrick, e gli ho chiesto se non avesse visto un ragazzo con il cappello da cow-boy.
– Sì, piuttosto presto nel pomeriggio.
– Un tipo molto bello ?
– Sì, niente male, sì.
– No, questo qui non è niente male, è una meraviglia della natura.
– Non ho guardato bene...
– L’avresti guardato, l’avresti notato... Bene, suppongo che sia rientrato a casa sua, merda!
E me ne sono tornato a casa.

(Mai più incontrato).

Traduction : Dario Bellezza et Mario Sigfrido Metalli








Voici la couverture de l'édition italienne de Tricks. J'avoue qu'elle m'a laissé plutôt perplexe :








Une lecture italienne de Tricks : ici, et la traduction française de l'article : là.

Sur les mêmes thèmes : Digression pasolinienne.




Images : Site Flickr (1) et (2)

Tom of Finland, Untitled (Cowboy), c. 1965 

vendredi 24 février 2012

Dinanzi a un grande specchio (Devant un grand miroir)




"Poche parole avare per dire quel che valgo : 
oh, non certo un hidalgo, solo un crepuscolare..." 

 M.M. Appunti per autoritratto







Che pretendi da me tu, sconosciuto,
che mentre io parlo e m'agito e ti miro,
t'agiti e parli senza che un sospiro
esca dalle tue labbra di velluto ?

Chi sei tu ? Che vuoi tu ? Perché ài saputo
imitar gli altrui gesti, e il mio respiro
a raccoglier ti chini, e s'io m'adiro
tu pur t'adiri, ma restando muto ?

Perché mi fissi tanto ? Perché fai
sì brutto piglio ? Perché stai rinchiuso
in questa gabbia, in questo quadro vuoto ?

Non ti conosco, non t'ò visto, mai
in altro luogo... Vattene ! Non uso
guardare in faccia chi mi è troppo ignoto !

Marino Moretti  Poesie scritte col lapis


Qu'attends-tu de moi, inconnu,
qui pendant que je parle et m'agite et te regarde,
t'agites et parles sans qu'un soupir
ne sorte de tes lèvres de velours ?

Qui es-tu ? Que veux-tu ? Pourquoi as-tu appris
à imiter les gestes des autres, pourquoi te penches-tu
pour recueillir mon souffle, et si je me fâche
pourquoi te fâches-tu aussi, tout en restant muet ?

Pourquoi me fixes-tu ainsi ? Pourquoi prends-tu
cet air mauvais ? Pourquoi restes-tu enfermé
dans cette cage, dans ce cadre vide ?

Je ne te connais pas, je n'ai t'ai jamais vu
ailleurs... Va-t'en ! Je n'ai pas l'habitude
de dévisager qui m'est trop inconnu !

(Traduction personnelle)








Poesie scritte col lapis (Poésies écrites au crayon) est paru aux éditions Ricciardi, à Naples, en 1910. Le recueil a été récemment réédité aux éditions Palomar, Bari.

mercredi 22 février 2012

Pensieri tristi (Tristes pensées)



In Memoriam Francesco Leone Cugusi (Cagliari, 1935 - Cagliari, 2012)





Le peintre sarde Brancaleone Cugusi est mort à Milan le trois mai 1942, à trente-neuf ans, quelques jours avant que s'ouvre dans la même ville sa première grande exposition (en fait une exposition collective, puisqu'elle réunissait les œuvres de trois peintres : Brancaleone, Luigi Brignoli et Mario Della Foglia). La journaliste et critique d'art Nella Zoja, amie et confidente du peintre, fut l'un des rares témoins de ces derniers jours de la vie de Brancaleone, hospitalisé à la clinique Granelli de Milan pour une grave maladie pulmonaire. Après la mort de ce dernier, elle écrira plusieurs lettres à ses deux tantes maternelles, Assunta et Anita Branca, qui reçurent très souvent leur neveu à Tempio Pausania, la petite ville sarde où elles vivaient. Je cite ici (dans une traduction personnelle) quelques extraits de ces lettres si émouvantes, citées dans la biographie que Francesco Leone Cugusi (fils de Guglielmo, l'un des frères du peintre) a consacrée à son oncle, Brancaleone mio zio (Ed.Tema, Cagliari, 2010) :

«Il vint une fois me rendre visite, et je fus frappé par son enthousiasme et son ardeur. Il parlait du futur de façon si ardente ; de ce qu'il devait réaliser, des objectifs qu'il aurait certainement atteints. Il en était absolument convaincu. Il me parla aussi de sa maladie : il dit que si elle lui accordait un répit, c'était pour pouvoir réaliser d'autres oeuvres – les tableaux qu'il peignit en 1941. Nous sommes ainsi devenus amis, de manière très simple. Et si je repense maintenant à cette amitié, elle m'apparaît comme un cadeau, triste et précieux...»

Soir du 3 mai 1942 [le jour de la mort de Brancaleone, note du traducteur] : «Cette lettre vous parviendra quand vous aurez déjà reçu la si triste nouvelle. Le 18 mars, votre neveu me fit appeler par l'une des infirmières de la clinique, parce qu'il se sentait très mal et qu'il souhaitait me confier quelques lettres. Je me souviens que l'une de celles-ci était pour vous, une autre pour son père et la dernière pour Tonuccio, le modèle du Jeune homme à l'imperméable. Il me demanda également de vous écrire plus longuement, et c'est ce que j'essaie de faire maintenant, même si cela m'est difficile, mais je sais que c'est une chose que Brancaleone aurait apprécié.
Je vous demande pardon de tout ce qu'il pourrait y avoir de cruel dans cette lettre, mais l'histoire de ces quatre longs derniers mois n'est que tristesse et peine.
J'écris maintenant en me souvenant surtout de ce dix-huit mars et de la fête de Saint Joseph qui a suivi (il se confessa et reçut la communion), parce que ces jours-là furent ceux où il me parla le plus longuement, avec une sorte de volupté triste et douce à la fois, comme s'il emplissait son âme de nostalgie, en la libérant dans les pleurs. Lui dont le caractère était si fort, il pouvait aussi pleurer parfois comme un enfant, et redevenir presque léger, serein en tout cas, pour profiter des plus petits plaisirs. 
Il avait encore tant de vitalité, et pleinement lui-même, comme cela ne lui arriva plus par la suite que très rarement, et pour des périodes toujours plus brèves...

... C'était un être qui possédait une étrange force : on sentait tout de suite, par exemple, qu'il était honnête et loyal. Il tenait à la vie ; il l'aimait profondément, même si la sienne était si douloureuse ; mais il sut la quitter avec courage. Pour cela, il lui fallait éviter de penser à son art qu'il devait abandonner...




... Quatre mois d'hôpital, dans une chambre bien exposée. Le matin, le soleil arrivait sur son lit. Il n'aimait pas le plein air pour peindre, mais il désirait très fort le soleil, le soleil de sa Sardaigne. Il repensait souvent à la plage de Cagliari où il espérait passer l'été. Il sentait que cela l'aurait régénéré. Mais c'était trop tard.
Et les champs de fèves de sa Sardaigne, avec leur gris-vert et leur tiédeur. S'il est vrai qu'une partie de ce qui fut notre être continue à vivre sur la terre, vous pourriez le retrouver là où ses désirs le portaient : sur une plage ensoleillée, ou étendu près d'un champ de fèves, un peu désordonné, un peu sauvage, comme il aimait que fût la nature...

J'eus l'impression que ses tantes de Tempio Pausania étaient les personnes qu'il chérissait le plus. Il me parlait de l'incompréhension et de l'hostilité que lui avaient values sa vocation d'artiste, et je lui demandai alors si, à l'inverse, ses tantes de Tempio croyaient en lui. Il sourit en me disant qu'il ignorait si elles croyaient vraiment en lui, mais qu'en tout cas elles l'aimaient énormément, et c'était ce qui pour lui avait le plus d'importance. Il était sûr qu'à travers l'amour qu'elles lui portaient, elles acceptaient aussi son art. Comme il disait cela ! Avec un sourire tout intérieur, tourné vers ses souvenirs et sa nostalgie.

Le 4 mai : Aujourd'hui, il me semble moins vrai que Brancaleone soit mort. Je l'ai vu s'éteindre hier après-midi à quatre heures et demie ; si paisiblement, après une heure de totale inconscience pendant laquelle je fus presque soulagée, parce qu'il me semblait qu'il ne souffrait plus. Il y avait le docteur Onorato d'un côté du lit, l'infirmière et moi de l'autre, mon frère au fond de la chambre. Brancaleone s'est éteint avec l'abandon serein d'un enfant. Demain à deux heures aura lieu l'enterrement. Après, je fermerai et expédierai cette longue lettre...

Le 5 mai : Après quatre mois, Brancaleone est ressorti dans les rues de Milan, enfermé dans un petit cercueil de bois clair. C'est la première véritable journée de printemps ; il fait très chaud, il n'y a pas de vent : c'est une journée qui lui aurait plu...»






Oeuvres de Brancaleone : en haut, Pensieri tristi, 1941

au centre, Pensieri tristi, 1941 (détail)

en bas, Giovane assorto, 1940

lundi 20 février 2012

Sandro Penna, come un addio






"Animula vagula blandula,

Hospes comesque corporis,
Quae nunc abibis in loca,
Pallidula, rigida, nudula,
Nec, ut soles, dabis iocos..."

P. Aelius HADRIANUS, Imp.


Al telefono, nelle ore dell’alba e della notte, diceva dell’amico che una volta lo aveva posto fra i poeti più grandi affianco a Dylan Thomas, tornava a elencare i suoi mali, nominava il suo cane, ripeteva che sarebbe morto assai presto : aveva sentito la morte passare sulla città, soffermarsi sulla sua casa, e come Leopardi la chiamava, trattenendo il pianto, «dolcissima fanciulla».

Aveva ultimamente tradotto per un amico pittore i versi dell’imperatore Adriano, li aveva trascritti più volte lasciando i fogli sul mucchio delle carte e dei farmaci e delle immondizie :

Animula vagula, blandula
ospite e compagna del corpo,
che ora te ne andrai in luoghi
sì pallidi, sì gelidi, sì nudi
né come solevi darai giochi...

Aveva ritenuto intraducibile quel primo verso che, con soave sofferta pazienza, chiamava l’anima minima e spersa dell’uomo, così infinitamente e vanamente tesa alla felicità e alla salute, pure così vaga e imprendibile.

Fra gli altri suoi versi – nascosti nella stanza dove conservava i ritagli dei giornali, le fotografie mai sviluppate, le tele e i cartoni dipinti da Raffaele, i libri rari e quelli dedicati da Comisso, da Montale, da Saba, da Pasolini – v’era un distico facile e fermo e straziato come un addio. Forse lo aveva scritto per la tomba che voleva al cimitero di Prima Porta – non al Verano dove erano sepolti vicini il padre e la madre e Beniamino e Elda – da quando, in un mattino di sole, era passato di là e aveva visto, dietro i loculi e le cappelle, terre erbose e colline e greggi e il cielo azzurro disteso. Nei due versi diceva :

Nostalgia della vita in me riaffiora
e fa triste la tomba che mi onora.

Elio Pecora Sandro Penna, una cheta follia, ed. Frassinelli, 1984


Au téléphone, aux petites heures de l’aube et de la nuit, il parlait de l’ami qui autrefois l’avait placé parmi les plus grands poètes à côté de Dylan Thomas, il recommençait à énumérer ses maux, mentionnait son chien, répétait qu’il serait mort très bientôt : il avait senti la mort passer sur la ville, s’arrêter dans sa maison, et comme Léopardi, en retenant ses larmes, il l’appelait «la si douce enfant».

Il avait récemment traduit pour un ami peintre les vers de l’empereur Hadrien, il les avait recopiés plusieurs fois en abandonnant les feuillets sur le tas de papiers, de médicaments, de détritus :

Petite âme, âme tendre et flottante,
compagne de mon corps qui fut ton hôte,
tu vas descendre dans ces lieux
si pâles, si durs, si nus,
où tu devras renoncer aux jeux d’autrefois.

Il considérait comme intraduisible le premier vers qui, avec une patience douce et tourmentée, parlait de l’âme minuscule et égarée de l’homme, si infiniment et vainement en quête du bonheur et du salut, et pourtant si indistincte et inatteignable.

Parmi ses autres vers – cachés dans la pièce où il conservait les coupures de journaux, les photographies jamais développées, les toiles et les cartons peints par Raphaël, les livres rares et ceux que lui avaient dédicacés Comisso, Montale, Saba et Pasolini – se trouvait un distique simple, ferme et douloureux comme un adieu. Il l’avait peut-être écrit pour qu’il figure sur sa tombe au cimetière de Prima Porta – pas au Verano où étaient enterrés côte à côte son père et sa mère, Benjamin et Elda – se rappelant d’un matin de soleil où il était passé par là et avait vu, derrière les tombes et les chapelles, des prairies, des collines et des troupeaux, étendus sous un ciel d’azur. Ces deux vers disaient :

La nostalgie de la vie en moi réaffleure
et rend triste la tombe qui m’honore.

(Traduction personnelle)




SAMEDI 7 DÉCEMBRE La tombe de Sandro Penna, au cimetière de Prima Porta : c'est un petit losange de pissenlits qui forme une placette. Si l'on en croit son biographe, Elio Pecora, ce privilège a été accordé après beaucoup d'insistance auprès de l'Assessorato alla Cultura di Roma et le poète a dû attendre quatre ans dans ces loculi funèbres qui sont ici le lot commun.

Sur le coin du massif d'herbes pousse un rosier, au centre, une stèle qui porte le nom, les dates, une croix, d'un côté, de l'autre, ces deux vers magnifiques :

Nostalgia della vita in me riaffiora

e fa triste la tomba che mi onora.

Gérard Pesson Cran d'arrêt du beau temps, Journal 1991-1998 Van Dieren éditeur, 2004




La traduction française des vers d'Hadrien est de Marguerite Yourcenar.

Transcription des vers autographes de Sandro Penna :

"Traversare un paese … e lì vedere
cheti fanciulli ridestarsi a un soffio
di musica e danzare. S’allontana
forma o colore : un sogno. Viva resta
la dolce persuasione di una fitta
rete d’amore ad inquietare il mondo."




Tombe de Sandro Penna : Source de l'image

vendredi 17 février 2012

This moment (En ce moment)



"Where are we going, Walt Whitman ?
The doors close in an hour.
Which way does your beard point tonight ?"


"Dove andiamo, Walt Whitman ?
Le porte chiudono tra un'ora.
Dove punta stasera la tua barba ?"





En ce moment où, au nom du "politiquement incorrect", de l'in-nocence ou de la liberté d'expression, certains se croient obligés d'apporter leur soutien à un député obsessionnellement homophobe qui va répétant que le fondement de l'homosexualité est le refus de l'autre, et que ce qui attire l'homosexuel, c'est d'abord et avant tout sa propre image, il est bon de prendre un peu de hauteur pour fendre l'air frais et vivifiant de la poésie de Walt Whitman :

This moment as I sit alone, yearning and thoughtful
It seems to me there are other men in other lands, yearning and thoughtful,
It seems to me I can look over and behold them, in Germany,
Italy, France, Spain
Or far, far away, in China, India or in Russia, talking other dialects,
And it seems to me if I could know these men, I should become 
attached to them as I do to men in my own lands,
O I know we should brethren and lovers,
I know I should be happy with them.

Walt Whitman Leaves of grass, Calamus, 1860 






En ce moment, consumé de désir et songeur, assis tout seul,
Il me semble qu'il y a d'autres hommes dans d'autres pays qui
sont consumés de désir et songeurs,
Il me semble que mon regard peut porter jusque là et que je les
vois en Allemagne, en Italie, en France, en Espagne,
Ou loin, très loin, en Chine ou en Russie, ou au Japon, parlant
d'autres dialectes,
Et il me semble que si je pouvais connaître ces hommes,
je m'attacherais à eux comme je m'attache aux hommes de mon propre pays,
Oh, je suis sûr que nous serions frères et amants,
Je suis sûr que je serais heureux avec eux.


Traduction : Roger Asselineau (Ed. Aubier)



Mentre siedo solo e pensoso, consumato dal desiderio, 
mi sembra che altri uomini, in altre terre, si struggano pensosi.
Mi sembra che potrei alzare gli occhi e vederli, in Germania,
in Francia, nella Spagna, 
Oppure lontano, molto lontano, in Cina, in India, o in Russia, 
dove parlano altre lingue,
E mi sembra che, se potessi conoscerli, 
li amerei come amo gli uomini delle mie terre,
Oh, credo diventeremmo fratelli e amanti,
Credo che sarei felice con loro.

Traduzione : Marina Tornaghi (Ed. Enola, 2000) 








Images : en haut, Mark Skrobola (Site Flickr)

au centre et en bas, CharlesFred (Site Flickr)

mercredi 15 février 2012

Venzolasca





Une étoile est ce soir si large sur la mer,
Quand un bleu traîne pâle encor sur la montagne,
Que son reflet trace un long chemin de lumière
Depuis l'horizon invisible jusqu'au sable.

Nous vivrons encor quand la même mer,
Traverseuse des nuits qui sont nos traverseuses,
Brasillera de tous ses miroirs de soleil
Sur son exact croissant d'azur torride

Et quand paraîtront les grandes baigneuses
Pour toucher du pied le rire innombrable.

Chemin d'or où sait venir l'astre par la mer,
Quand dorment les grandes baigneuses, jusqu'au sable.

Marcel Thiry Songes et Spélonques, 1973








Images : en haut,  Site Flickr

en bas, Vincentello (Site Flickr)

samedi 11 février 2012

Val di Fex






In Val di Fex, remota valle
e contrappunto all'Engadina,
entrano solo coi cavalli.
E vi entra, insieme molta gente
sulle carrozze, a coppie, a gruppi.
E un'euforia li prende, ignota
a loro stessi. Quel sentirsi
ricongiunti alla forza prima,
selvaggia. Loro, gl'inurbati.

 Remo Fasani Novenari  Editions de la revue Conférence, 2011








Dans le val de Fex, vallée reculée
et contrepoint de l'Engadine,
on ne pénètre qu'à cheval.
Bien des gens y entrent ainsi,
en calèches, en couple, en groupe.
Une euphorie les prend,
à leur insu. Ce sentiment
de réunion à la force première
et sauvage. Eux, les citadins.





Traduire les Novénaires, par Christophe Carraud (texte en PDF)



Images : en haut, Wim van der Meer  (Site Flickr)

au centre et en bas, Giulio Vertemati  (Site Flickr)

samedi 4 février 2012

Nevicata




NEVICATA


Sui campi e sulle strade
Silenziosa e lieve,
Volteggiando, la neve

Cade.

Danza la falda bianca
Ne l'ampio ciel scherzosa,
Poi sul terren si posa
Stanca.

In mille immote forme
Sui tetti e sui camini,
Sui cippi e nei giardini
Dorme.

Tutto dintorno è pace :
Chiuso in oblio profondo,
Indifferente il mondo
Tace....

Ma ne la calma immensa
Torna ai ricordi il core,
E ad un sopito amore
Pensa.

(Musica  :  Ottorino Respighi   Testo  :  Ada Negri)








 CHUTE DE NEIGE


Sur les champs et sur les routes 
Silencieuse et légère,
En tourbillonnant, la  neige
Tombe.

Tout est paisible alentour :
Clos dans un profond oubli,
Indifférent, le monde
Se tait...






                                                       


Grazie a Patrick Silva per le sue bellissime fotografie (Site Flickr)

jeudi 2 février 2012

Cent cavales blanches !



Une évocation des chevaux de Camargue, extraite du quatrième chant du magnifique poème de Frédéric Mistral, Mirèio (Mireille). Je cite ici le texte original en provençal, suivi de la traduction française que Mistral lui-même a réalisée, puis de la traduction italienne de Diego Valeri (Mirella, Unione Tipografico Editrice Torinese, 1930) :


Au même Mas di Falabrego
Venguè tambèn un gardian d'ego,
Veran. Aquéu Veran ié venguè dóu Sambu.
Au Sambu, dins li grand pradello
Ounte flouris la cabridello,
Avié cènt ego blanquinello
Despounchant di palun li rousèu escambu.

Cènt ego blanco ! La creniero,
Coume la sagno di sagniero,
Oundejanto, fougouso, e franco dóu cisèu :
Dins sis ardèntis abrivado,
Quand pièi partien, descaussanado,
Coume la cherpo d'uno fado
En dessus de si cou floutavo dins lou cèu.

Vergougno à tu, raço oumenenco !
Li cavaloto camarguenco,
Au pougnènt esperoun que i'estrasso lou flanc,
Coume à la man que li caresso,
Li yeguèron jamai soumesso.
Encabestrado pèr treitesso,
N'ai vist despatria liuen dóu pàti salan ;

E 'n jour, d'un bound rabin e proumte,
Embardassa quau que li mounte,
D'un galop avala vint lègo de palun,
La narro au vènt ! e revengudo
Au Vacarès, que soun nascudo,
Après dès an d'esclavitudo,
Respira de la mar lou libre salabrun.

Qu'aquelo meno souvagino,
Soun elemen es la marino :
Dóu càrri de Netune escapado segur,
Es encarotencho d'escumo ;
E quand la mar boufo e s'embrumo,
Que di veissèu peton li gumo,
Li grignoun de Camargo endihon de bonur ;

E fan brusi coume uno chasso
Sa longo coque ié tirasso ;
E gravachon lou sòu ; e sènton dins sa car
Intra lou trent dóu diéu terrible
Qu'en un barrejadis ourrible
Mòu la tempèsto e l'endoulible,
E bourroulo de-founs li toumple de la mar.

Traduction française :

Au même Mas des Micocoules
Vint aussi un gardien de cavales,
Véran. Ce Véran y vint du Sambuc.
Au Sambuc, dans les grandes prairies
Où fleurit la cabridelle,
Il avait cent cavales blanches
Épointant les hauts roseaux des marécages.

Cent cavales blanches ! La crinière,
Comme la massette des marais,
Ondoyante, touffue, et franche du ciseau :
Dans leurs ardents élans,
Lorsqu’elles partaient ensuite, effrénées,
Comme l’écharpe d’une fée,
Au-dessus de leurs cous, elle flottait dans le ciel.

Honte à toi, race humaine !
Les cavales de Camargue,
Au poignant éperon qui leur déchire le flanc,
Comme à la main qui les caresse,
Jamais on ne les vit soumises.
Enchevêtrées par trahison,
J’en ai vu exiler loin des prairies salines ;

Et un jour, d’un bond revêche et prompt,
Jeter bas quiconque les monte,
D’un galop dévorer vingt lieues de marécages,
Flairant le vent ! et revenues
Au Vacarès, où elles naquirent,
Après dix ans d’esclavage,
Respirer l’émanation salée et libre de la mer.

Car de cette race sauvage,
La mer est l'élément :
Du char de Neptune échappée sans doute,
Elle est encore teinte d’écume ;
Et quand la mer souffle et s’assombrit,
Quand des vaisseaux rompent les câbles,
Les étalons de Camargue hennissent de bonheur ;

Et font claquer comme la ficelle d’un fouet
Leur longue queue traînante,
Et grattent le sol, et sentent dans leur chair
Entrer le trident du Dieu terrible
Qui, dans un horrible pêle-mêle,
Meut la tempête et le déluge,
Et bouleverse de fond en comble les abîmes de la mer.





Traduction italienne :

Venne alla stessa Fattoria degli Olmi
Anche un guardiano di cavalle,
Verano. Questo Verano ci venne dal Sambù.
Al Sambù, nelle praterie
Dove fiorisce il cardoncello,
Aveva cento cavalle bianche
Che mordevano le canne alte delle paludi.

Cento cavalle bianche ! La criniera,
Come la tifa degli stagni,
Folta, ondeggiante, non tòcca dalle forbici :
Quando, nei loro impeti ardenti, scatenate,
Partivano, essa fiottava al cielo,
Sui loro colli, come la sciarpa d'una fata.

Vergogna a te, razza umana !
Le cavalle della Camarga,
Nessuno le ha mai viste sommesse
Allo sprono pungente che gli lacera il fianco,
Nè alla mano che le accarezza.
Incapestrate a tradimento,
Ne ho visto alcuna trascinata via dai pascoli salini ;

Ma un giorno, poi, l'ho vista, con uno scatto rabbioso,
Scrollarsi da dosso all'improvviso quello che la montava,
Divorar di galoppo venti leghe di stagni e di paludi,
Col muso al vento ! e ritornare,
Dopo dieci anni di schiavitù,
Al Vaccarès, dov'era nata,
A respirare il salso libero del mare.

Perchè il vero elemente
Di questa razza selvaggia è il mare :
Scappata al carro di Nettuno,
È tinta ancòra di spuma ;
E quando il mare sbuffa e s'oscura
E rompe le gomene dei vascelli,
Allora gli stalloni di Camarga nitriscono di gioia,

Fanno schioccare come una frusta
La lunga coda a strascico,
Pestano il suolo, e dentro la carne sentono
Entrare il tridente del dio terribile
Che muove la tempesta e il diluvio,
E sconvolge dal fondo le grotte del mare
In orrendo scompiglio.

Pour le texte en langue provençale et la traduction française, l'édition que j'ai utilisée est celle des Cahiers Rouges, Grasset, 2004.








Images : en haut (Site Flickr)

au milieu (Site Flickr)

en bas, Michel Badia (Site Flickr)