Uscì di casa. Era il suo giorno libero. Da poco tempo aveva lasciato l'ospedale in cui prestava servizio, per passare alla Difesa Civile. Si incamminò attraverso la città, come per trovare all'esterno un balsamo che la calmasse. Da Pimlico si spinse verso Victoria Station. Il cielo era basso e grigio, pochi i passanti. Chi poteva aveva lasciato Londra e chi vi era rimasto, a quell'ora del mattino, si trovava già al lavoro. Fra i palazzi, di tanto in tanto, si aprivano i crateri lasciati dai bombardamenti dell'autunno 1940. Edna ricordò di aver letto che, fra il settembre di quell'anno e l'aprile successivo, si erano contati quarantamila morti in città, due milioni le case distrutte. I numeri ebbero per un attimo l'effetto di pacificarla. Le sembrò che il dolore di Alastair fosse nulla, in confronto, e che solo a Londra toccasse lo strazio più profondo, quello cieco e disperato che non sa neppure farsi parola. Raggiunse Belgrave Square, bianca e spettrale come un'ammonizione. La piazza con gli edifici disegnati da George Basevi pareva immersa in un silenzio e una solitudine senza vie di uscita. Nulla si muoveva. Qualcuno – ma chi ? – le aveva detto una volta che in quella piazza ci si trova sempre in un punto diverso da quello in cui si crede di essere : in Belgrave Square – quel qualcuno le aveva detto – si è sempre sul lato sbagliato. Ora l'indicazione risuonò sinistra. Edna ripensò di nuovo ai giorni di Cambridge. Con Alastair si dava spesso appuntamento al Fitzwilliam Museum, davanti un piccolo quadro di Fantin-Latour che raffigura una candida tazza da tè col suo cucchiaino. Anche il Fitzwilliam, come la piazza in cui ora si trovava, era stato progettato da Basevi, ma risultava più libero, meno oppresso dal rigore delle regole e da un'idea classica di armonia (in verità sottilmente ossessiva e claustrofila) come quella dominante in Belgrave Square.
Mario Fortunato I Giorni innocenti della guerra ed. Bompiani, 2007.