Il faut se donner beaucoup de peine, ou avoir beaucoup de chance, pour trouver aujourd'hui les livres de l'écrivain florentin Piero Santi (1912-1990), publiés pour la plupart dans de petites maisons d'édition à un nombre limité d'exemplaires et donc épuisés depuis longtemps. Je suis un jour tombé par hasard en visitant un marché aux livres anciens à Pise sur l'un de ses ouvrages, un curieux recueil intitulé Ombre rosse, édité en 1954 aux éditions Vallecchi ; il s'agissait apparemment d'un guide des cinémas de Florence, constitué de plusieurs chapitres dont les titres correspondaient aux noms des cinémas visités : l'Alhambra, l'Astoria, l'Orfeo, l'Astra, le Lumen, le Splendor. Dans l'atmosphère confinée de ces salles, la dense fumée des cigarettes (nous sommes dans les années quarante du siècle précédent et l'on pouvait encore fumer dans les salles de cinéma), la lumière de l'écran et des petits néons rouges servant de repères dans l'obscurité, on assiste à des rencontres furtives, des aventures étranges et parfois dramatiques. Bien sûr, ces rencontres sont souvent omoerotiche (homoérotiques), comme dit précautionneusement Piero Santi, et si l'on songe au puritanisme de l'Italie des années cinquante (et au-delà...), on se dit qu'il a quand même fallu une certaine audace à l'auteur pour publier cela. Les deux passages de ces Ombre rosse (on remarquera que c'est aussi le titre italien du film de John Ford, Stagecoach (La Chevauchée fantastique)) que je reprends ici (dans une traduction personnelle) sont extraits du prologue et du dernier chapitre de l'ouvrage, dans lequel Piero Santi raconte l'histoire de Francesco, un jeune employé de banque solitaire et tourmenté, voué à une fin tragique :
Le luci dei
cinematografi. La luce vera è quella dell’intervallo che incendia le pareti e
le poltrone e gli uomini di un incendio impudico ; quella è la luce
reale ; poiché la luce dello schermo, riflessa, e la luce delle lampade
rosse, riflessa, non luce sono, ma ombra luminosa. Ombre rosse, sono in realtà
i chiarori delle sale cinematografiche, quando ronza la macchina e filtra la
colonna luminosa illuminando lo schermo ; e ombre potrebbero essere anche gli
spettatori stessi che nei corridoi si aggirano e si fermano improvvisi : ombre
già quasi e quasi già uomini ; e rosse, non grige come quelle dell’Erebo
pallido : ombre e forse uomini certi ; ma ombre rosse.
(...)
Ma perché – potreste
domandare a questo punto anche se questa domanda sarebbe un poco superflua per
quanto già è stato detto finora – perché Francesco s’era intestato a cercare
proprio in un cinematografo quel che poteva forse trovare altrove ? Che cosa
poteva offrire al ventiduenne impiegato di banca il cinema ? Lo Splendor,
questa ampia e chiara cavèa, quale molla segreta dell’animo di Francesco poteva
far tinnire, quale corda del suo cuore far risuonare ? La risposta è semplice :
egli non osava niente fuori di quella intimità : era l’intimità del cinema, era
quel silenzio, la possibilità di vicinanza senza parole che non solo gli
facevano sperare un appagamento più facile che altrove, ma anche lo eccitavano
maggiormente : come per altri, del resto, l’aria del cinema, quella oscurità
non completa, quella luce oscura – se ci è permesso dir così – movevano dentro
di lui i sentimenti più segreti... Altri ancora hanno bisogno della notte dei
parchi per scoprire una integrità simile dei propri sentimenti e per rivelarli
a se stessi... altri ancora, cercano altri luoghi... Ma per Francesco era il
cinema ad offrire conforto e speranza. Non una speranza calma, anzi inquieta :
ma proprio quell’inquietudine era già, almeno un poco, consolante poiché in
essa egli trovava un primo – spesso, anzi l’unico – appagamento : già quando
porgeva alla «maschera» distratta il biglietto, già quando d’inverno, si levava
il cappotto prima ancora di entrare nella sala da proiezione ; e poi,
l’ingresso nell’oscurità. Varcare la soglia di una delle porte era come tentar
le soglie insieme dell’Inferno e del Paradiso : per quell’aperto mare di corpi
affondati nell’ombra e in un silenzio insensato : fra i quali avrebbe potuto
scoprir lui, l’Ignoto ; quei corpi muti, davvero conturbanti, quei volti un
poco sinistri ; e lassù, al di là delle ondate ampie e lievi del fumo delle
sigarette, la lontana luce dello schermo ! Quale scrittore mai potrà far
comprendere che cosa fosse per Francesco e per miglaia di altri simili a lui,
il fascino terribile, e, diciamolo !, folle dell’ingresso, dopo tanta luce
delle strade e dei corridori illuminati, nella sala di proiezione ? Il cinema è
– come vien spontanea, facile, la parola ! – una giungla da esplorare arbusto
per arbusto ; e da quali liane potrà essere avvinto il fiducioso esploratore ?
Quali teneri serpentelli o cobra velenosi si avvinghieranno alle sue gambe ?
Quali sentieri saprà egli inventare – più che scoprire – per giungere al porto
sconosciuto e impreveduto e pur tuttavia intensamente atteso ? Ecco, là vi è un
volto che sembra meno attento degli altri, e accanto il posto è libero : guardiamo
: l’altro si volta un poco ? Si accorge dell’ansioso giovane ? del ventiduenne
timoroso ? No, osserva lo schermo, sembra, attentamente... Ma osserviamo ancora
: bisogna che colui si distacchi, prima o poi dal guardar lassù, che si muova,
che almeno muova un braccio, che accenda una sigaretta e in quel momento
distraendosi dallo schermo, si volti alla fine verso... Ma ecco, si è voltato
infatti, e senza accender la sigaretta, come richiamato da una volontà potente
; e guarda : ma appena, però. Passano molti (o pochissimi ?) secondi : colui
cambia posizione sulla poltroncina e – ecco, ancora, ancora ! – con fare
distratto volge il volto verso... Sarà lui l’Ignoto ? O sarà una illusiora fata
morgana ? Poiché la giungla si è trasformata, ormai, in un deserto : gli altri
corpi sono per un momento scomparsi e là dove prima si aggrovigliavano cespi ed
alberi ora si stende la solitudine : unica oasi è quel volto.
E allora, bisogna
sedere lì, accanto.
Comprendete, allora, quale fascino possa avere, per molti,
un cinema e come poteva apparire a Francesco ?
La lumière des cinémas.
La vraie lumière est celle de l’entracte qui incendie de façon impudique les
murs, les fauteuils et les hommes ; c’est la vraie lumière ; parce
que la lumière de l’écran, réfléchie, et la lumière des néons rouges,
réfléchie, ne sont pas des lumières, mais plutôt une ombre lumineuse. Des
ombres rouges : voilà ce que sont en réalité les lueurs des salles de
cinéma, quand le projecteur ronfle et que filtre la colonne lumineuse qui
illumine l’écran ; et les spectateurs eux-mêmes pourraient n’être que des
ombres qui errent dans les couloirs et s’arrêtent brusquement ; presque
des ombres déjà, et presque déjà des hommes ; ombres rouges, et non pas
grises comme celles des pâles Ténèbres : des ombres et sans doute aussi
des hommes ; mais des ombres rouges.
(...)
Et alors, c’est là
qu’il faut s’asseoir, à côté de lui.
Vous comprenez maintenant pourquoi un
cinéma peut être fascinant pour beaucoup de gens, et comment il pouvait
apparaître aux yeux de Francesco.
Images : en haut, Andrea Pavan (Site Flickr)
au centre, Andrea Fanelli (Site Flickr)
en bas, Site Flickr
Incroyable...
RépondreSupprimerEt Santi est aussi l'auteur d'un très beau "Journal". Par exemple :
Supprimer«Le vie di questi anni sono sempre più oscure, nel ricordo : notturne, piovose o caldissime ; ed io e lui accanto, muti, staccati o uniti col braccio, a trepidare di qualche voce lontana, di un canto che si alzasse dalle siepi di un giardino o di un fischio. (Ricordi, Ottone, le tre note modulate di Piazza Mentana che poi riscoprimmo eguali alzarsi una notte in Piazza Santa Maria Novella ?). Non vi è dolcezza in questi ricordi, anche se fu il tempo della nostra amicizia più delicata. I nostri spiriti si avvicinavano probabilmente in nome del loro dolore, oltre ogni più consueta comprensione.»