Translate

samedi 25 février 2012

Mai più incontrato (Jamais revu)




Renaud Camus nous dit dans son Journal de l'année 2007, Une chance pour le temps, qu’il a finalement accepté, «non sans hésitation, une traduction partielle de Tricks en italien» (cf. page 15). Cette traduction était annoncée en 2008 aux éditions Textus (situées à L’Aquila), mais la parution de l’ouvrage a été sans cesse reportée depuis, et elle semblait même définitivement compromise à la suite du tremblement de terre qui a touché en avril 2009 le chef-lieu des Abruzzes. Fort heureusement, la petite maison d'éditions Textus a pu récemment reprendre ses activités, et l'on annonce enfin pour le 7 mars prochain la parution de cette édition italienne de Tricks. Elle parait dans une collection intitulée I Romanzi della realtà (Les Romans du réel), dirigée par l'excellent Walter Siti, romancier de grand talent (Scuola di nudo, Troppi paradisi, et tout récemment Autopsia dell'ossessione, chez Mondadori) et maître d’œuvre de l'édition des textes de Pasolini dans les Meridiani. Il s'agit en effet d'une édition partielle du livre le plus célèbre de Renaud Camus, puisqu'elle ne comprend que vingt-cinq des quarante-cinq tricks de l'édition française définitive (P.OL, 1988).

On a toutefois déjà pu lire en italien deux chapitres de Tricks, puisqu’ils ont été publiés dans l’ouvrage de Renzo Paris, Cronache francesi, paru aux éditions Transeuropa en 1989. Le sous-titre du livre est «un panorama della nuova narrativa francese» (un aperçu de la nouvelle fiction française) ; le choix des textes et des auteurs est fort éclectique, puisque l’on y retrouve notamment Tony Duvert, Annie Ernaux, Mathieu Lindon, François Bon, Danièle Sallenave, Jean Echenoz, Le Clezio, Hervé Guibert, Guy Hocquenghem, et donc Renaud Camus, «parmi tous ces auteurs, sans doute le plus scandaleux» nous dit Renzo Paris dans sa préface... Les deux tricks retenus ici (tous les deux new-yorkais) sont le trente-cinquième, Anonyme en salopette (pages 355-360 dans l’édition P.O.L de 1988) et le trente-septième, Le cow-boy (pages 373-380, op. cit.). La traduction est de Dario Bellezza (en collaboration avec Mario Sigfrido Metalli), par ailleurs écrivain et poète de valeur, mort du sida en 1993. Un de ses romans a été traduit en français : L’amour heureux, Salvy, 1998. Puisque cette édition des Cronache francesi est désormais introuvable, l'ouvrage étant depuis longtemps épuisé, je reproduis ici l'intégralité des deux chapitres de Tricks dans cette première (et plutôt bonne) traduction italienne :


Anonimo con la salopette (a Severo Sarduy)


Lunedì 24 luglio 1978
(Racconto trascritto a Parigi, giovedì 11 marzo 1982).

M’aggiravo, verso la fine del pomeriggio, nello stretto corridoio su cui s’aprono le cabine di proiezione, nel settore più lontano della “libreria” che sta all’angolo tra Christopher e Hudson Streets. Fuori faceva ancora caldo, e così non c’era molta gente in questo retrobottega scuro, praticamente senza aerazione. Un uomo sui trenta-trentacinque anni, abbastanza piccolo, bruno, baffuto, mi stava scrutando. Portava dei grandi occhiali con la montatura di tartaruga e, per vestito, una salopette azzurro-mare che gli lasciava nudi i fianchi, la parte superiore del torace, le spalle e le braccia. Non si poteva dire se fosse bello o brutto, ma certo era un po’ comico per il contrasto tra i suoi occhiali da intelletuale e la sua tenuta da stagnaio, e per i baffoni alla Ben Turpin. Mi seguiva lungo il corridoio, che porta sempre al punto di partenza, oppure aspettava il mio successivo passaggio e allora mi guardava fisso.

Sono andato ad appostarmi in una rientranza particolarmente buia tra due cabine. Lui m’ha subito raggiunto e immediatamente m’ha messo la mano sulla patta. Stavo a torso nudo, la mia camicia sgualcita infilata dalla parte del colletto nella tasca posteriore dei jeans [secondo un vezzo della moda molto diffuso quell’anno]. Ho fatto qualche passo indietro, per appoggiarmi al muro, lui m’è venuto incontro. [Interruzione : siccome, a causa del caldo, sto scivendo con indosso solamente uno short molto largo da cui fa capolino per l'occasione il mio sesso, mi sono messo a masturbarmi, Dio sa perché, visto che l'episodio non ha niente di particolarmente eccitante. Ho approfitato dell'occasione per assaggiare un flaconcino di poppers Rush, che appartiene a F.H. e stava sul comodino. Il suo effetto è stato vigoroso, fino a sconvolgere ancora adesso la mia scrittura (in effetti particolarmente agitata), e prima, fino a portarmi alla soglia d'un orgasmo al quale mi sono sottratto, fortunatamente, proprio nel momento in cui due goccioline annunciatrici e lubrificanti erano apparse sulla punta del mio sesso]. Ho passato la mia mano sul suo petto, solido e molto peloso, e sul suo ventre, molto peloso ma meno solido. Potevo anche, avendo slacciato due bottoni sui suoi fianchi, toccare direttamente il suo culo, le coscie e il sesso. Ma appena arrivato a quel punto, lui m’ha proposto d’andare in una cabina. Ho accettato. La prima che aveva scelto aveva la porta che non funzionava e ne ho preferita un’altra, proprio di fronte. Ci sono entrato e lui m’è venuto dietro. Ho sbottonato la mia patta. Lui m’ha accarezzato il torace e m’ha tirato fuori il sesso. Gli ho tirato giù le bretelle della salopette scoprendogli così tutto il torace. Ma allora lui ha introdotto una moneta nella fessura dell’apparecchio di proiezione. Non so se lo ha fatto per una sorte di dovere, temendo che i gestori della “libreria” ci richiamassero all’obbligo un po’ duramente (“C’mon, I want to hear those quarters !”, però io avevo l’impressione che avessero rinunciato a quel tipo di politica, e che il dollaro che esigevano all’ingresso del retrobottega fosse ormai la loro sola pretesa), o forse perché aveva voglia di vedere un film. Comunque sia, siccome io stavo appoggiato contro la parete su cui veniva proiettato il film, le prime immagini sono arrivate sul mio torace. Abbiamo allora cambiato posizione e ci siamo messi uno di fronte all’altro, stavolta per il largo della cabina, così stretta d’altronde che potevamo appoggiarci confortevolmente tutti e due, di spalle, a una parete, e tenere i nostri bacini e i nostri cazzi stretti l’uno contro l’altro. Il film veniva così proiettato tra i nostri petti, il centro dell’immagine solamente arrivava sul tramezzo, mentre i bordi si perdevano sui nostri corpi.

Ci siamo abbracciati e stretti l'uno contro l'altro, più forte che potevamo, spostandosi leggermente, in senso contrario, da sinistra a destra, per meglio sentire i peli dei nostri toraci mescolati e premuti. Poi l'uomo con la salopette s'è inginocchiato e s'è messo a succhiarmi il cazzo. Nel film, che aveva per titolo due nomi che ho scordato, Tom e Terry o qualcosa di simile, si vedevano due mastodonti dalle muscolature da Cappella Sistina, quasi nudi ma non particolarmente eccitanti per me, sperduti separatamente in una specie di deserto, che si scoprivano da lontano e si avvicinavano attraverso le dune. Uno stava già masturbandosi quando l'altro lo raggiunge e gli si inginocchia davanti per succhiarglielo. Le immagini sono abbastanza banali, gli attori insignificanti malgrado l'ordine colossale delle loro architetture, e il tutto comunque non sarebbe stato sufficiente a eccitarmi. Ma la similitudine delle situazioni portava con sé una qual certa identificazione, e come il giovane lassù, sullo schermo, aveva un'aria beata per la fellatio praticata su di lui, io non potevo che essere altrettanto contento di quella di cui ero il beneficiario e che era altrettanto ben fatta. A un punto tale, che fui quasi sull'orlo dell'orgasmo e dovetti, per evitarlo, sollevare l'uomo con la salopette. Non più che la sera prima, in effetti, avevo intenzione di godere, e avevo fatto la mia visita alla "libreria" solo for old times sake, per ricordo dei vecchi tempi. Ho stretto di nuovo il mio compagno tra le braccia, gli ho leccato il petto, lui ha leccato il mio. Ma tutto questo lo interessava abbastanza poco, quello che voleva era succhiarmi il cazzo, così non ha tardato a riprendre la sua posizione accoccolata.

È successo allora qualcosa di strano che non ho capito. Il proiettore era situato sul fondo della cabina, dietro uno schermo di vetro. Un giovane nero, che non avevo mai visto prima ma che certamente lavorava lì, s'è messo a spostare da dietro il proiettore, non so assolutamente perché, come se volesse trovare un miglior campo di proiezione del film sul tramezzo. Man mano che faceva muovere la macchina, le immagini si spostavano in tutte le direzioni, verso l'alto, verso destra, sul mio torace, verso il basso, sul mio sesso e sul viso dell'uomo con la salopette. Non sapevo che fare, né se bisognava essere imbarazzati per questo tecnico che sembrava non esserlo affatto da noi, poiché avrebbe potuto fare i suoi aggiustamenti quando non c'era nessuno nella cabina. Attraverso il vetro lui poteva certamente vedere ciò che voleva, soprattutto nel fascio di luce del film, per esempio il mio sesso, in piena erezione, nella bocca del mio partner, il cui viso intero serviva da supporto allo sviluppo della trama e ai personaggi, per così dire, e più spesso al gigante in piedi in procinto di farsi succhiare il cazzo. L'uomo con la salopette, perplesso, s'era interrotto per un istante, di cui io ho approfittato per masturbarmi, ma molto prudentemente perché ero sempre deciso a non godere.

Ogni volta che il film si interrompeva, all'incirca ogni tre minuti, l'uomo con la salopette introduceva nella fessura dell'apparecchio una nuova moneta. Conseguenza delle manipolazioni del giovane nero, abbiamo avuto diritto a una bobina tratta da un film diverso, assai migliore. Dopo di che l'uomo ha ripreso il suo lavoro un po' monotono. Il nero continuava a fare i suoi esercizi. L'idea mi viene adesso scrivendo, può darsi che costui non lavorasse affatto alla "libreria", che fosse soltanto un cliente guardone, e che fosse deliberato il suo dirigere il fascio della proiezione sul mio cazzo e sulla bocca dell'uomo con la salopette, che aveva deciso, dopo una riflessione, di riprendere ciò che aveva cominciato. L'immagine riflessa sui miei fianchi e sulle guance non era molto chiara, evidentemente, ma ci si distinguevano ancora molto distintamente le sagome e le situazioni interpretate, o piuttosto vissute, perché l'uomo che si faceva succhiare era arrapato molto veritieramente, allo stesso modo che molto veritieramente poi se ne veniva.

Ho detto che non avevo nessuna intenzione di godere. Ma ciò che ha indebolito la mia decizione è stato il pensiero di questa cronaca, e del racconto che potevo trarre da un episodio così enfaticamente, così grossolanamente, “artistico” : “fellatio in corso mentre un’altra viene proiettata sui partecipanti della prima, tatuaggio mobile ; è la pornografia che i nuovi saddhus dell’Hudson imprimono sui loro corpi, al posto dei Veda cari ai loro fratelli del Gange [dei quali, in approssimativo contraccambio, Severo Sarduy scrive in La Doublure (Flammarion, 1981, p. 78) che con i loro finissimi pennelli, la loro cipria nera, e i loro “vanity-case che maneggiano con abilità” : “– Li avevo scambiati per delle frocie –.”]. Come mi sono venute queste idee, fui perduto, tanto più irremediabilmente in quanto l’uomo con la salopette era un succhiatore assai esperto. Ho sentito montare dentro di me una tensione che non poteva risolversi se non in un orgasmo, e ho goduto nella sua bocca, con molto piacere. Lui ha inghiottito il mio sperma. Quando si è risollevato, s'è messo a masturbarmi. Io lo tenevo per le spalle mentre lui protendeva il bacino, e gli carezzavo le cosce, i coglioni e anche il torace. È venuto abbastanza in fretta, e il suo sperma è andato a schizzare sulla parete dove la sua ombra nascondeva una metà del film, di nuovo proiettato nel suo posto specifico.

Ero impaziente di uscire dalla cabina, in parte a causa del calore che il nostro dimenarci aveva aggiunto a quello del giorno, in parte per l’inquietudine sulla sorte della mia camicia che avevo abbandonato prima d’entrare nella cabina, con il mio libro, Les Confessions, precisamente dalla parte dove il singolare manipolatore aveva dato luogo ai suoi capricciosi interventi. Sono dunque uscito prima che l’uomo con la salopette si fosse risollevato le bretelle, con un sorriso d’arrivederci che lui a malapena poteva vedere. Comunque lui aveva dovuto lasciare prima di me la “libreria”, perché l’ho visto, più tardi, precedermi su Christopher Street, che andava verso est sul marciapiedi opposto.

(Mai più incontrato).






Il cow-boy


Giovedì 27 luglio 1978

Dovevano essere le cinque e mezza. Stavo ritornando dal Pier 42, sull'Hudson, dove avevo trascorso il pomeriggio a rileggere Les Confessions, al sole. Se sono entrato nella "libreria", all'angolo di Christopher Street e Hudson Street, è stato soltanto perché un ragazzo che vagamente m'interessava, e che mi camminava davanti, c'era stato prima di me. Ho sfogliato qualche rivista, anche io, e poi è uscito di nuovo.

M'apprestavo a fare la stessa cosa, piuttosto che penetrare, al prezzo d'un dollaro, al di là del girello di metallo a forma di croce, simile a quello del metrò, che dà accesso alla seconda parte dell'impianto, quella dove uno stretto e buio corridoio – che si morde la coda – apre le sue porte a delle minuscole cabine di proiezione.

Ma proprio mentre stavo rimettendo al loro posto Luscious dessert o Chicken Lickin' good, m'è sembrato di sentire uno sguardo posato su di me. Ho girato la testa. Al di là del tornante di metallo, c'era un ragazzo dal viso molto pallido, con dei baffetti neri, abbastanza fine, una camicia rossa a quadri e un cappello da cow-boy, dalle larghe falde rovesciate all'insù. Stava fermo, ma come lo scorsi, smise subito di guardare dalla mia parte, o verso la porta, e si spostò sparendo di colpo dalla mia vista.

L'avevo guardato soltanto per qualche secondo. M'era sembrato talmente bello, bello anche se non m'era sembrato che si interessasse a me. Certamente era la prima stanza, quella dei libri e delle riviste, e la porta, che lui guardava, per vedere se qualche nuovo venuto si presentava al di là del girello ruotante di metallo. E se era rimasto fermo presso quest'aggeggio doveva essere perché non c'era nessuno di interessante nella seconda stanza. Dunque non decisi subito di andare a raggiungerlo. Ma neanche lasciai la "libreria" così velocemente come avevo intenzione di fare. Mi misi distrattamente a sfogliare un altro volume, e a girare la testa verso il tornante di metallo, alla fine di ogni paragrafo. Tre o quattro minuti più tardi, il cow-boy fu di ritorno e questa volta senza alcuna ombra di dubbio stava guardando me.

Di tutti i Tricks di cui si racconta qui, incontestabilmente il più bello è questo ; e anche, a eccezione di Jeremy, senza dubbio, forse il solo veramente bello, secondo ogni criterio di giudizio, l’unico a trascendere i “generi”. Il ragazzo era molto alto e muscoloso, ma in modo naturale, senza eccesso ; d’aspetto molto virile, senza ostentazione. Il suo abito da cow-boy, che aveva tutte le probabilità di questo mondo d’apparire perfettamente ridicolo, su di lui era soltanto molto eccitante e, senza che possa bene spiegare perché, patetico. Incarnava perfettamente il mito, e nondimeno non aveva il fisico tradizionale del ruolo : i suoi cappelli, di cui una ciocca sfuggiva dal cappello, sulla fronte bianca, le sue sopracciglia, i suoi occhi, i suoi baffi erano troppo neri ; aveva piuttosto l’aria latina, o meglio, gitana. Quello che era veramente notevole in lui, era il suo volto, a mio avviso perfetto : energico, fine, luminoso, rischiarato dalla torva scintilla delle pupille. Questa volta m’ha lasciato il tempo di vederlo meglio. Ma, come aveva fatto in precedenza, s’è allontanato dal girello di metallo per sparire tra le cabine. Il suo sguardo, nel momento in cui si spostava, era su di me. Ciò sembrava un chiaro invito. Quasi non riuscivo a credere alla mia fortuna. Ma ero deciso adesso a tentarla. Ho dunque dato il mio dollaro all’incaricato che ha sbloccato il tornante di metallo, liberando il meccanismo di passaggio.

Il corridoio che fa da comunicazione alle cabine disegna un quadrato su cui, servandosene, ci si ritrova sempre al punto di partenza. Non ho seguito il cow-boy. Mi sono avviato nella direzione opposta alla sua, pensando così d’incontrarlo. Ma lui era tornato sui propri passi, io ho fatto un giro completo senza incrociarlo. C’erano là dieci o quindici ragazzi, alcuni dei quali avevo già visto prima lungo l’Hudson, di cui due o tre eccitanti. Mi sembrava più saggio interessarmi a loro piuttosto che a questo cow-boy, che decisamente m’intimidiva. Era troppo bello. Ma sapevo anche bene, che troppo lo avrei rimpianto, in seguito, se non fossi arrivato in fondo a questa storia.

Quando l’ho rivisto, stava entrando in una cabina. Ha lasciato la porta completamente aperta, e s’è appoggiato contro la parete di fronte, i pollici nelle tasche dei jeans. Mi guardava. Io ho ancora tergiversato. Mi sono allontanato. Quando mi sono girato, lui stava sulla porta. Controllavo che l’avessi visto, che sapessi bene dove lui stava, si è rimesso nella sua posizione, all’interno della cabina, contro la parete. Ho fatto un giro completo del corridoio, ma molto svelto, e mi sono fermato di fronte a lui. Ci siamo guardati, io ho ancora girato la testa una o due volte a destra e a sinistra, poi mi sono deciso, e l’ho raggiunto.

Temevo che lui fosse il tipo da ricevere, senza minimamente contraccambiare, gli omaggi che istigava. E avevo anche paura d’essere intimidito sessualmente, di non potermi neanche arrapare, se avesse messo la mano sulla mia patta sarebbe stato deluso dalla modesta taglia del mio membro in completo riposo. Ma queste inquietudini non hanno avuto nessuna conferma. Lui m’ha toccato nello stesso istante che l’ho toccato io, era tanto perfettamente eccitante quanto era bello, rara combinazione, e io gli ero accanto da neppure quindici secondi che già ero arrapato con estremo entusiasmo.

I suoi jeans erano vecchi e consunti. Sul lato interno della coscia destra, verso l'alto, c'era un buco dai bordi sfrangiati. Non portava slip. Quando ho messo all'inizio la mano sulla patta, l'estremità del suo membro era assai lontana da quel foro, cinque o sei centimetri. Ma man mano che si eccitava, lo sentivo avvicinarsi, e ben presto il suo glande fece capolino. Questa apparizione m'eccitò molto. Ho fatto scorrere la porta dietro di me, ma non completamente, perché un po' di luce continuasse a filtrare. Raramente avevo desiderato di vedere bene uno dei miei amanti. Mi sono accoccolato di fronte a lui e ho passato la lingua sul suo glande, attraverso il famoso foro. Con la mano destra, ho cominciato a slacciargli la cintura e la patta. Lui m'ha aiutato. Mi sono tirato su. Lui m'ha aperto i pantaloni e m'ha tirato fuori il membro. Gli ho sbottonato la camicia, le cui maniche portava arrotolate fino ai bicipiti, molto sviluppati. Dei peli bruni gli ricoprivano il petto, limitati molto nettamente dalla forma dei pettorali, a eccezione d'una sottile linea nel mezzo del ventre, che giungeva fino al sesso, che sarebbe stata perfettamente dritta, se non fosse stato per le cavità e le sporgenze dei suoi muscoli addominali. Nulla era troppo in risalto, ma tutto perfettamente duro, perfettamente ben disegnato. Il suo membro, che adesso stringevo, era più grosso del mio, lungo, carnoso, molto ben circonciso, sarei tentato di descriverlo come notevolmente elegante. I suoi coglioni erano molto voluminosi. Le sue cosce, lunghe e possenti, ma non ampie, si congiungevano molto in alto al bacino, di modo che il loro risalto era già evidente all'altezza del sesso ; tutte le volte che cambiava l'appoggio principale, ci si vedeva scattare ogni muscolo ben distinto.

Era un po' più alto di me. Ci siamo guardati sorridendo. Poi ha dato con un colpo della mano, in un gesto convenzionale, un lieve tocco al cappello, per gettarlo un po' all'indietro. Un altro ciuffo di capelli neri, un po' ondulati, gli è caduto sulla fronte. Gli tenevo le mani sui fianchi. M'ha stretto contro di lui. Ho slacciato la mia camicia, allargandone i lembi perché i nostri toraci fossero direttamente a contatto l'uno contro l'altro. Ci siamo baciati. Le sue gambe erano leggermente divaricate, le mie tra le sue. I nostri membri completamente eretti si premevano formando una X ; noi li facevamo oscillare quasi insensibilmente da sinistra a destra, il canale seminale compresso per un istante e poi liberato, e compresso di nuovo.

Ho passato le mani tra la parete di compensato e le natiche del cow-boy. Esse erano, come il resto del suo corpo, molto dure e assai prominenti, con una fossetta su ciascuna parte. Erano anche molto pelose, ma non eccessivamente, salvo che nella fessura.

Mi sono di nuovo accoccolato per succhiargli il cazzo, mentre gli carezzavo il ventre e il petto. Le mani tra i miei capelli, le spalle contro la parete, lui protendeva il bacino.

Sul fondo della cabina, alla mia sinistra, c'era un sedile molto basso destinato agli spettatori del film che noi avevamo trascurato di mettere in azione. Mi ci sono seduto, attirando verso di me il cow-boy col suo cappello sempre inclinato verso la nuca. I suoi jeans erano adesso appena sopra le ginocchia. Con la mano destra gli carezzavo le natiche, il mio avambraccio contro la sua coscia sinistra, e con la sinistra gli stringevo la verga alla base oppure giocherellavo con i suoi coglioni. Siamo restati in questa posizione quattro o cinque minuti. Ogni volta che sentivo che stava per venire, rallentavo il va-et-vient della mia bocca, e passavo le mie labbra sui coglioni o la lingua sotto.

Come mi sono sollevato, il cow-boy m'ha fatto cambiare di posto con il suo, cosa che non era molto facile in questa cabina che era certamente larga meno d'un metro. Si è seduto e m'ha preso il cazzo in bocca. Ma ancora una volta non volevo venire. Tony e io avevamo tutto un programma di convegni per la serata, Anvil, Saint-Mark sauna, eccetera, e volevo conservarmi le energie. Quello che mi sarebbe piaciuto, evidentemente, sarebbe stato di portarmi il cow-boy a casa. Ma sempre intimidito da lui, e dal mio desiderio di lui, non ho osato proporglielo.

Quando sono stato sul punto d'eiaculare, mi sono chinato in avanti. Gli ho sollevato la testa, l'ho baciato, e l'ho forzato ad alzarsi. S'è di nuovo appoggiato alla parete, di fronte alla porta. Quanto a lui era ben deciso a venire. Si masturbava. L'ho fatto io per lui, con la mano destra, l'avambraccio sinistro sulla sua spalla, baciandolo. Lui protendeva i fianchi piegando un po' le gambe. Al momento di venire, ha girato la testa sospirando, m'ha fatto togliere la mano dal suo membro e l'ha posata sul suo seno destro, le mie dita sul minuscolo anello di metallo che era infilato nel suo capezzolo, che avevo dimenticato di segnalare. Ha finito da solo di masturbarsi, e il suo sperma è andato a sbattere contro la porta, in molteplici getti sorprendentemente distanziati. Ho raccolto nella mia bocca le ultime gocce.

Subito dopo lui avrebbe voluto che anche io potessi venire, molto gentilmente. Ma io ho cominciato a rivestirmi, sorridendo. Non ha insistito, senza fare domande. Aveva nei suoi jeans un fazzoletto col quale s'è asciugato il membro. S'è rapidamente ricomposto. L'ho lasciato uscire per primo. M'ha dato, sorridendo, un leggero pugno sul braccio : Take care! 

Sono uscito dalla cabina quasi immediatamente dopo di lui, abbastanza veloce per vederlo entrare nelle toilette che sono proprio di fronte al tornante di metallo d’accesso al piccolo corridoio. Mi sono appostato lì, nella luce che viene dalla bottega propriamente detta. Volevo vederlo ancora una volta, assicurarmi che fosse così bello come m’era sembrato. Lo era, forse anche di più. Quando è uscito dalla toilette, m’ha fatto un segno con la testa poi, arrivato vicino alla porta, s’è girato sorridendo, facendo un saluto con la mano.

Sono rimasto ancora cinque minuti nella “libreria”, per non avere l’aria di seguirlo e d’imporre la mia presenza. Quando a mia volta sono uscito, mi sono diretto verso la Sesta Avenue su Christopher Street. Mano a mano che andavo riprendendo coscienza, mi rimproveravo la timidezza. Avrei potuto dargli il mio indirizzo, il mio numero di telefono, invitarlo a pranzo a casa. Era uno dei più bei ragazzi che avessi visto in vita mia. Sembrava molto gentile. E adesso l’avevo perduto.

Arrivato sulla Settima Avenue, sono tornato sui miei passi. Bisognava che lo ritrovassi, era una cosa sciocca. Fortunatamente con quel suo cappello, era riconoscibile da lontano. Doveva gironzolare nel quartiere. Sono entrato in parecchi bar, Boots and saddles, Ty’s, e sono tornato su Hudson Street. Sulla strada ho incontrato un amico francese, Patrick, e gli ho chiesto se non avesse visto un ragazzo con il cappello da cow-boy.
– Sì, piuttosto presto nel pomeriggio.
– Un tipo molto bello ?
– Sì, niente male, sì.
– No, questo qui non è niente male, è una meraviglia della natura.
– Non ho guardato bene...
– L’avresti guardato, l’avresti notato... Bene, suppongo che sia rientrato a casa sua, merda!
E me ne sono tornato a casa.

(Mai più incontrato).

Traduction : Dario Bellezza et Mario Sigfrido Metalli








Voici la couverture de l'édition italienne de Tricks. J'avoue qu'elle m'a laissé plutôt perplexe :








Une lecture italienne de Tricks : ici, et la traduction française de l'article : là.

Sur les mêmes thèmes : Digression pasolinienne.




Images : Site Flickr (1) et (2)

Tom of Finland, Untitled (Cowboy), c. 1965 

4 commentaires:

  1. Merci beaucoup pour cette veille attentive et ces longues citations.

    RépondreSupprimer
    Réponses
    1. Merci à vous, Valérie, pour votre attention bienveillante et les liens vers ce blog que vous avez la gentillesse de faire !

      Supprimer
  2. Je viens de découvrir votre très beau site.

    http://wroclawdanslabrume.over-blog.com/

    RépondreSupprimer
    Réponses
    1. J'aime aussi beaucoup votre site, laconique mais toujours proche de l'essentiel ; et nous avons beaucoup d'auteurs et d'images en commun (vous citez un très beau poème de Louise de Vilmorin que je ne connaissais pas et qui m'a beaucoup plu : "J'ai le chagrin pour compagnie...")

      Supprimer